Wikipedia

Risultati di ricerca

domenica 27 maggio 2012

RAGU’ NAPOLETANO SULLA FORNACELLA A CARBONE

RAGU’ NAPOLETANO SULLA FORNACELLA A CARBONE

    Questa è una variante di cottura del ragù napoletano che ho qui proposto undici giorni fa. 
   Nella presentazione che ho dato sul post Ragù partenopeo,  ho accennato al fatto che in tempi andati il ragù veniva cotto, con i suoi lunghi tempi, su fornacelle a carbone. Sembra che in alcune famiglie, anche nel centro storico di Napoli, questa sia stata una consuetudine fino ai primi decenni del 900’.         Nelle famiglie più benestanti, sia borghesi e nobili, sia artigiane e contadine, la cottura del ragù domenicale avveniva però sui focolari delle vecchie cucine in muratura, alimentate a legna e piastrellate con le coloratissime e allegre mattonelle vietresi.
  La fornacella è (come già detto nell’altro post) una specie di barbecue ancora oggi utilizzato, a Napoli e provincia, per cuocere i famosi carciofi arrostiti (un piatto tipico locale) o la carne, per cui quest'oggetto di cottura è ancora in produzione, e venduto a prezzo modico. Ne ho acquistato uno per quest’occasione, in un mercatino locale, al costo di 5 euro.
Nel film neorealista del 1948 "LADRI DI BICICLETTE" (regia sceneggiatura e produzione di VITTORIO DE SICA) si nota in una delle ultime scene la padrona di casa cucinare su una fornacella a carbone, poggiata su una cassettiera (da camera da letto dell'epoca). I protagonisti, padre e figlioletto, si trovano in casa del presunto ladro insieme al poliziotto che li accompagna, e la signora intenta a cucinare con questo tipo di fornello a carbone è la madre del ragazzo riconosciuto quale ladro dal protagonista.
  Gli ingredienti e il procedimento sono gli stessi del precedente e recente post (http://lafattoriadiassunta.blogspot.it/2012/05/ragu-partenopeo.html), ho solo diminuito le dosi di carne e pomodoro poiché ho usato un pignatiello (tegame di terracotta) un poco più piccolo di quello mostrato nel post precedente.
  Preparare una grossa cipolla rossa affettata sottilmente, un kg. di carne mista in tre tagli diversi (lacerto di vitellone, gallinella di maiale e costine di maiale), 2-3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 1,5 l di passata di pomodoro, ½ bicchiere di vino rosso corposo. Sale e basilico per decorare.
  Acquistare carbone di ottima qualità, preparare un mucchietto di carbone nel contenitore per le braci della fornacella e accendere. Appena il mucchietto ardente comincia a diventare pianeggiate prepararsi a poggiare il pignatiello con olio e cipolla, affettata sottilmente, e lasciar rosolare. Aggiungere la carne e lasciarla colorire da tutti i lati, innaffiare con il vino, aggiungere il concentrato sciolto in una tazza con qualche cucchiaio di acqua tiepida e poco dopo la passata di pomodoro, salare, e da questo momento in poi preoccuparsi di girare il sugo di tanto in tanto, e controllare la cottura.
   Questa preparazione è stata avviata il sabato pomeriggio, e lasciato che la cottura continuasse fino a che il carbone non si è lentamente spento (circa 5-6 ore). Nel primo periodo la cottura si è presentata vivace, ma dopo 3-4 ore il pippiare (accenno di bollore) è apparso uno spettacolo di delicatezza (molto più che su una  normale cucina con calore al minimo).
   Per il proseguimento della cottura, la domenica mattina è stata preparata una nuova brace, con un’altra dose di carbone, e il tegame è stato riposizionato sulla fornacella accesa.
   Certo non essendo qui possibile controllare il calore con una manopola, come su un normale piano cottura, a un certo punto quando il bollore è  diventato forte, il tegame è stato provvisoriamente allontanato dalla brace (per non sprecare la fonte di calore vi ho posizionato la pentola per la cottura della pasta, solo per iniziare a scaldare l’acqua), e poi rimesso in un secondo tempo per proseguire la cottura del ragù, che alla fine è apparso proprio come prescritto dai canoni tradizionali, sia in compattezza, sia in colore: denso come una conserva di pomodoro, e scuro tendente al marroncino.
   Il gusto è risultato unico, peccato che la tecnologia non abbia ancora trovato un sistema per riprodurre gli odori e il gusto come invece è possibile fare con le immagini, che in questo caso da sole non rendono giustizia alla prelibatezza.
   L’ambiente cucina è risultato fresco, malgrado la giornata sia stata calda, e senza odori forti diffusi nell’ambiente interno, come invece avviene solitamente quando ci sono tegami sui fornelli domenicali. La cottura è avvenuta in veranda e senza un minimo di fumo, dalla fornacella si sono sprigionati odori e profumi di tempi andati, quasi una macchina del tempo.  

BUON APPETITO DALLA FATTORIADIASSUNTA
   
           
   
      
   
La carne servita per secondo accompagnata da due contorni: patate fritte in olio e aglio, e patatine novelle al forno con rosmarino e alloro.

vedi anche : http://lafattoriadiassunta.blogspot.it/2012/06/ragu-di-coda-di-vitello-sulla.html


sabato 26 maggio 2012

PIZZA IN TEGLIA Impasto diretto (a mano e nella mdp)

  
(panetto da 500 gr. per la teglia tonda)
 1) pizza in teglia impasto diretto (a mano)
Ingredienti per 1,400 gr. di pasta lievitata:
1/2  l di acqua tiepida (senza cloro) ;
7-8 gr. di lievito di birra fresco*;
400 gr. di farina tipo “0” (es. pane e focaccia della barilla) ;
450 gr. di farina tipo “00” ;
40 gr. di olio di oliva, oppure di semi di arachidi;
20-25 gr. di sale marino fine;

Misurare la dose d’acqua in una caraffa graduata, togliere una tazza di quest’acqua e scaldarla nel microonde, rimetterla con la restante acqua nella caraffa e, ottenuta l’acqua tiepida  e sciogliervi il lievito di birra.unire il lievito di birra. In una grossa ciotola versare metà della farina, aggiungere al centro parte dell’acqua e cominciare a mescolare con un mestolo di legno, ottenere inizialmente una pastella, aggiungervi l’olio e gradualmente altra acqua e farina, aggiungere infine il sale con l’ultima dose di farina. Quando sarà necessario lavorare l’impasto a mano aiutarsi se necessario con qualche altro velo di farina. Formare una palla e  lasciar lievitare per 3-4 ore. Dividere l’impasto lievitato in 2 parti, lavorare la pasta formando due panetti dai circa 500 ai 700-750 gr. (dipende dalle misure della teglia), e lasciar lievitare coperti da una ciotola grande o da un panno umido (in modo che la pasta non prenda ariaper evitare che si formi la crosta in superficie), dopo 3-4 ore di lievitazione stendere i panetti (con le mani andrà benissimo, visto la morbidezza dell’impasto) in due teglie foderate di carta forno. Lasciar lievitare per minimo 30 minuti, o 1 ora se si preferisce una focaccia un po’ più alta. Prima di farcire affondare a caso le dita per creare un effetto materasso sulla pasta e farcire. Cuocere in forno, preriscaldato al massimo, e portato a 220°- 240°, per circa 20 minuti (ovviamente il tempo può variare parzialmente  in base alla potenza del proprio forno).
P.S.
Se si ha il tempo di preparare l'impasto al mattino presto lasciar lievitare in frigo poi 5 ore prima della cottura tirar fuori dal frigo, formare i panetti e lasciar lievitare 4 ore, stendere in teglia, far ancora lievitare 30 minuti, farcire e infornare.
Per la teglia in foto panetto da 700 gr.
  
Farcitura all' ortolana con mozzarella, melanzane, zucchine e peperoni fritti
 
Farcitura con funghi trifolati, pomodoro, salame e scamorza
 

2) pizza in teglia impasto diretto (in macchina del pane)
      Stessi ingredienti su citati per 1,400 gr. di pasta lievitata.
Inserire nel cestello, prima tutta l’acqua in cui è stato precedentemente sciolto il lievito, l’olio, aggiungere a pioggia tutta la farina, e per ultimo il sale. Azionare il programma solo impasto, oppure il programma pane (che lavora ancora meglio l'impasto), ma attenzione a ricordarsi di staccare la macchina prima che si attivi la fase di cottura (perché si rischierebbe di cuocere invece una pagnotta non preventivata). In questo caso la lievitazione sarà fatta dalla macchina, e a fine programma si potrà procedere subito alla formazione dei panetti. lavorare su un piano infarinato e dividere in due l’impasto per formare 2 panetti. Lasciar lievitare coperto da un canovaccio umido e dopo 3-4 ore stendere l’impasto in teglie foderate di carta forno.Lasciar lievitare ancora 30 minuti in teglia e farcire. Preriscaldare il forno al massimo, infornare a 220°-240°  per circa 20 minuti (se necessario un pochino in più, o in meno, dipende dal proprio forno).
P.S.
Se si prepara l'impasto al mattino lasciar in frigo la pasta estratta dalla macchina del pane, poi 5 ore prima di infornare togliere dal frigo e formare i panetti, lasciar lievitare a temperatura ambiente per 4 ore, stendere in teglia , lievitare 30 minuti, farcire e infornare. 


 
 
   
Farcitura tipo caprese con pomodoro da insalata tipo "cuore di bue" conosciuto anche come "pomodoro di Sorrento", mozzarella olio e origano.
 
 
Farcitura Margherita, con pomodoro pelato, insaporito con sale e olio, mozzarella, e basilico fresco per decorare dopo sfornato.

Farcitura insalatara con pomodori freschi da insalata, mozzarella e basilico
Ortolana ai peperoni con pomodori freschi e
 mozzarella
 Margherita 
    
P.S.  In estate ovviamente i tempi di lievitazione si riducono.

*A proposito del lievito il dover prelevare pochi gr. da un cubetto di lievito significa anche sprecare il rimanente, che andrebbe certamente a male in poco tempo, per cui preferisco formare tante pezzature dividendo il cubetto in piccole parti uguali (6 parti, ma va bene 8 se d'estate, e anche 4 se in pieno inverno), avvolgere le grammature del cubetto di lievito in piccoli pezzetti di carta stagnola, riporre in un piccolo contenitore (tipo vaschetta margarina) e congelare. Con questo sistema si evita l'utilizzo di acqua tiepida. Al momento di utilizzare il lievito basterà sciogliere il pezzetto congelato direttamente in acqua a temperatura ambiente o anche fredda di frigo, dopo circa 10 minuti il lievito apparirà sciolto. Mescolare con un cucchiaio di legno per amalgamare bene con l'acqua e procedere all'impasto.

venerdì 25 maggio 2012

BAVETTINE ALLA CIPOLLA DI TROPEA E PEPERONCINO

Bavettine alla cipolla di Tropea peperoncino

Ingredienti per 4 persone:
350 gr. di bavette (anche linguine);
2 cipolle di Tropea (in mancanza 2 cipolle rosse);
1 bicchiere di vino bianco (o champagne avanzato);
2 cucchiaini di crema di peperoncino calabrese;
1 bicchiere scarso di olio extravergine di oliva;
 basilico fresco;
formaggio pecorino grattugiato;
sale.

Versare l’olio in una capiente padella antiaderente. Tagliare a fettine sottilissime, (tipo mezzaluna) la prima cipolla, versarla nella padella con l’olio e avviare la cottura a fuoco bassissimo. Tritare la seconda cipolla e aggiungerla nella padella sul fuoco. Mettere sul fuoco anche la pentola con l’acqua per la cottura della pasta. Alzare la fiamma del soffritto di cipolle per qualche minuto per lasciar imbiondire le cipolle, poi riportare al minimo, insaporire con un pizzico di sale, e cuocere a fuoco dolce e coperto (grazie al vapore il sugo non si asciugherà), togliere il coperchio, alzare la fiamma e versare il vino, lasciar evaporare per 1 minuto a fuoco vivace, poi abbassare ancora la fiamma. Lasciar cuocere la cipolla per 10-15 minuti, e se necessario al momento di mescolare, ogni tanto, alzare la fiamma, ma riportare di nuovo la fiamma al minimo subito dopo aver mescolato. Quando la cipolla apparirà ben rosolata, quasi caramellata, aggiungere 2 cucchiaini di crema di peperoncino calabrese e amalgamare. Continuare la cottura del sugo a fuoco bassissimo. Cuocere la pasta, che dovrà essere scolata al dente (un minuto prima del tempo di cottura indicato) versare un mestolino (3-4 cucchiai) di acqua di cottura della pasta nel sugo di cipolla e peperoncino, subito prima di scolarla, e alzare la fiamma, subito dopo scolare la pasta, versarla nella padella e lasciarla saltare velocemente e amalgamare con il condimento a fuoco vivace. Decorare con foglioline di basilico fresco e servire in tavola con pecorino grattugiato.

Buon appetito dalla fattoriadiassunta
 
  


mercoledì 16 maggio 2012

RAGU' PARTENOPEO.ragù napoletano verace

IL RAGU’ PARTENOPEO 

  La preparazione di questo antico piatto domenicale della tradizione campana ha un suo rituale, che richiede  innanzitutto tre elementi principali (ingredienti virtuosi): la pazienza, il  tempo (lunga cottura a fuoco bassissimo) e il pignatiello (tegame di terracotta). Ingredienti questi senza i quali la preparazione diverrebbe un semplicissimo sugo di carne al pomodoro, per cui se non si è predisposti all’attesa “abbondonare ogni intenzione voi che vi accingete…”.
 La Pazienza è come tutti sanno la virtù dei forti, e la forza presuppone sempre una  conquista. Una virtù, quella della pazienza, che in questo caso ripaga la dedizione nel seguire, controllare con passione, e coccolare con amore la preparazione, durante il lungo tempo di cottura tanto austeramente preteso dai rigidi canoni di preparazione di sua maestà “O rraù”. Un tempo il ragù veniva cotto sulle ˮfornacelle a carboneˮ (una specie di barbecue, ancora oggi utilizzato da molte famiglie per preparare i carciofi arrostiti, ovvero carciofi farciti di aglio, olio e prezzemolo, che si cuociono poggiati direttamente sulla brace, e dopo, una volta cotti, ripuliti della parte carbonizzata, cioè lo strato della base e quello più esterno delle foglie).  Ciò che distingue il ragù napoletano da un altro grande ragù, sacro alla tradizione italiana, che è il ragù bolognese-emiliano-romagnolo (che io adoro senza frontiere, anche perché nella mia famiglia, sulla tavola di casa mia dunque, è il condimento per i fusilli di Gragnano per il pranzo del giorno di Natale, ma questa è un’altra storia) consiste nel fatto che la carne è tagliata a grossi pezzi e funge da secondo piatto. Il sugo di cottura serve per 2/3 per condire la pasta, e il restante per accompagnare la carne per la degustazione di questa come secondo piatto. L'etimologia del nome è da ricercare nel termine francese ragoût, sostantivo derivato da ragoûter (risvegliare l'appetito), che originariamente indicava i piatti di carne stufata con abbondante condimento, usato poi per accompagnare altre pietanze: in Italia, principalmente la pasta. Prima della scoperta dell'America, ovvero prima che l'occidente incontrasse il gusto del pomodoro, la carne veniva cotta, a Napoli come in altri luoghi (sempre con lunghi tempi di cottura), accompagnata da verdure. Il ragù a Napoli dunque risale a un tempo più antico, precedente l’incontro e lo sposalizio con il pomodoro.
Un altro famoso ragù della tradizione napoletana è "la genovese", ragout di carne e cipolle a lentissima cottura col cui sugo condire i maccheroni (principalmente ziti). La genovese è nei post di Gennaio (Ragù "la genovese"  http://lafattoriadiassunta.blogspot.it/2012/01/ragu-la-genovese.html), anche questa è una preparazione che richiede lunga cottura e una buona dose di pazienza. 
 Nella tradizione troviamo alcune versioni di questo piatto, fermo restando gli elementi fondamentali, canonici, prima indicati, che distinguono (come dice il grande Eduardo), il ragù da un comune sugo col pomodoro. Enzo Avitabile, nel suo libro "Mangiamo alla napoletana" cucina casereccia napoletana per le quattro stagioni,(qui i titoli delle  ricette vengono riportati in dialetto, come in parte delle descrizioni) edito da REGINA EDITORE - NAPOLI - APRILE 1981, ne elenca alcune versioni le quali indicano un ingrediente principale, rigorosamente canonico, che è  la conserva di pomodoro fatta in casa (ricordo che sia la nonna, sia la mamma, quando ero piccola, usavano preparare la conserva d'estate, lasciata al sole coperta da un velo e portata in casa al tramonto, ma oggi questo è solo un ricordo nostalgico), che ai nostri giorni purtroppo non si prepara più come avveniva ai tempi delle nostre nonne e bisnonne. La conserva è oggi sostituita con una percentuale di concentrato di pomodoro, ingrediente questo che richiama egregiamente il gusto dell’antica conserva. Ecco le versioni raccolte e narrate da Enzo Avitabile: Raù â chianchiere (ragù del macellaio) fatto con carne mista la cui scelta è affidata all’esperienza del macellaio, il quale viene interpellato dalla massaia sul tipo di preparazione che si intende fare. Raù ‘e carne (ragù di carne) dove si utilizza solo un taglio di carne di vitellone. Raù ‘e puorco, composto da due diversi tagli di sola carne di maiale. Raù ‘e coda d’annecchia (coda di vitella o vitellone, carne  giovane insomma). Vrasciole a raù (le braciole nella gastronomia napoletana sono involtini di carne farciti con aglio e prezzemolo, e spesso con pangrattato, lardo, pinoli, e aggiunta di uvetta sultanina in una versione leggermente agrodolce, la preferita da mia madre e da lei spesso preparata). Quest’ultima versione del ragù è quella più diffusa per gli attuali pranzi domenicali, in quanto richiede tempi di cottura più brevi, oltre anche a vantare due varianti, di cui una prevede l’aggiunta di cotene ‘nbuttunate (cotenne di maiale in involtino farcite anche’esse con aglio, prezzemolo e pangrattato) alle braciole di carne, e una più forte che prevede il solo utilizzo di cotiche ‘nbuttunate, conosciute anche come  vrasciole ‘e cotene (braciole di cotenne di maiale). 
 Tutte queste versioni sono insieme sia condimento per la pasta, sia secondo piatto, e questa è la caratteristica che distingue e definisce la particolarità del ragù napoletano, oltre ai canonici lunghissimi tempi di cottura. Un ragù molto veloce si prepara con polpette di pane e carne trita cotte nel sugo di pomodoro e servite per primo e secondo piatto. Una curiosità: A Napoli si usa anche cuocere la carne trita con cipolla soffritta e passata di pomodoro, ma non si chiama generalmente ragù bensì salsa con la carne macinata.

Il ragù napoletano è raccontato anche nella poesia. Io ho trovato due poesie che qui vi propongo:

“O rraù”  di Giuseppe Marotta

A me dateme ‘o rragù:
ca fa sempre dummeneca.
Datemelo ‘ncopp’ a ‘n’asteco
D’ ‘e rrampe d’ ‘o petraro
Addò arriva ‘nu sciù sciù
Ca pare ‘e fronne
Ma songo ‘ e vvoce ‘e Napule ca sagliano,
stanche ‘e saglì.
‘N’ombra ‘e glicine ‘ncopp ‘a tavula
Tocca e nun tocca ‘o piatto.
Chi ll’ha fatto
‘stu zuco ‘e rre?
Tu Maria, tu.
Assettamace. Padre, Figlio
e Spirito Sante,amen.
Che profumo, ah che delizia.
Neh, Marì posa ‘a furchetta!
Aspetta.
Passammoce ‘a mano p’ ‘a cuscienza.
Io te voglio bene,’te so’ fedele.
E tu?
Pienzece: simmo degne ‘e ‘stu rraù?


La poesia più famosa è quella eduardiana

“O rraù” di Eduardo De Filippo

«  'O rraù ca me piace a me
m' 'o ffaceva sulo mammà.
A che m'aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel' 'a miezo st'uso

Sì, va buono: comme vuò tu.
Mò ce avéssem' appiccecà?
Tu che dice? Chest'è rraù?
E io m' 'o mmagno pè m' 'o mangià...
M' 'a faje dicere 'na parola?...
Chesta è carne c' 'a pummarola »
 Eduardo rende il ragù protagonista nella sua commedia «Sabato, domenica e lunedì».

 Gli ingredienti sono specifici, ma molto semplici:
 Occorrono innanzitutto due diversi tipi di carne, il manzo giovane (vitellone) e il maiale, e  in due o tre diversi tagli. Alcuni dettagli riguardo la carne, il suo condimento e relative proporzioni variano fra i diversi cultori del vero ragù napoletano. Le proporzioni di carne e passata di pomodoro variano inoltre anche in base al numero di commensali. In genere prevale la regola (che trova quasi tutti d’accordo) di abbondare.
 Si abbonda con le dosi perché non si sa mai….qualche ospite dell’ultimora! Ma poi certi piatti sono ancora più buoni il giorno dopo, riscaldati o anche freddi, per cui apparirebbe quasi sacrilego limitare la fatica della lunga preparazione a un solo assaggio, ed è qui che subentra un altro pezzo di tradizione, che suggerisce così anche un modo per poter continuare a soddisfare il palato anche il giorno dopo.

Ingredienti e preparazione per 10-12 porzioni:
1 kg. di lacerto di manzo giovane (chiamato anche girello o magatello);
1 kg. di gallinella di maiale (sostituibile anche con prosciutto, o lonza);
8 -10 tracchiulelle di maiale (costine di maiale con osso)
1-2 cipolle rosse;
2-4 cucchiai di concentrato di pomodoro sciolto in una tazzina d'acqua tiepida;
1 bicchiere generoso di buon vino rosso (suggerito un vino campano);
l 2 e ¼ di passata di pomodoro;
olio extravergine di oliva e 1- 2 cucchiai di sugna (a volte utilizzo però solo olio, come nella versione che mostro di seguito fotografata);
sale e basilico freschissimo;
Inoltre: un tegame di terracotta per la cottura (se proprio non disponibile va bene anche un tegame in alluminio dove però il sugo non dovrà essere tenuto a lungo una volta spento il fuoco), e un cucchiaio di legno per girare (il metallo non deve entrare nel tegame con il ragù).
Formato di pasta: Paccheri (schiaffoni), oppure ziti lunghi da spezzare, o pennoni.
Procedimento:
Affettare finemente la cipolla (o tritarla se si preferisce, comunque questo ingrediente si scioglierà durante la lunga cottura) e rosolarla a fuoco medio-dolce in un tegame di terracotta (seguire le avvertenze dopo l’acquisto per la preparazione del tegame di terracotta per la cottura se questo è nuovo, infatti le pentole di terracotta vanno tenuti almeno 48 ore a bagno completamente immersi d'acqua. Inoltre non utilizzare la fiamma alta e diretta sotto la base di terracotta, perché potrebbe spaccarsi, e, ultima avvertenza, non passare mai dal frigo al fuoco per riscaldare cibi precotti). Aggiungere prima la carne bovina, tagliata in grossi pezzi, la gallinella di maiale, e dopo aggiungere le tracchiulelle. Lasciar rosolare da tutti i lati (qui entra in scena la pazienza)Innaffiare con il vino e lasciar evaporare continuando la cottura a fuoco scoperto (occorrerà una buona mezz’ora). Aggiungere il concentrato di pomodoro, dopo qualche minuto versare tutta la passata e salare. Appena il sugo accenna il bollore, ovvero inizia a “pippiare”  lasciare che la cottura continui in questo modo a fuoco bassissimo e a tegame coperto (meglio se il piano di cottura dispone di una piastra, anche in vetroceramica, io utilizzo uno sparti fiamme in ghisa fra il fornello a gas e la pentola), per almeno 5-6 ore, durante le quali la carne andrà controllata e girata con estrema delicatezza, lasciar restringere il sugo, a tegame parzialmente scoperto (per metà), durante l'ultima ora di cottura.
"Generalmente, per evitare di alzarmi all'alba la domenica mattina, inizio la cottura il giorno prima (il sabato) in serata, e dal primo bollore, dopo aver aggiunto la passata, lascio cuocere per 2-3 ore. Al mattino proseguo la cottura per altre ore 3-4 ore, rigorosamente a fuoco bassissimo. Il sugo deve “pippiare” (dovendo spiegare cosa significa il termine pippiare direi per essere più esplicita: accennare con fatica al bollore). Se non piace la carne stracotta, si può sollevare questa dal sugo dopo le prime due-tre ore, far restringere il sugo continuando la cottura a calore dolcissimo, come già spiegato, per altre 2-3 ore e durante l'ultima ora di cottura rimettere la carne nel sugo".
A fine cottura spegnere (la terracotta terrà caldo a lungo), e cuocere la pasta (io preferisco assolutamente e solo i paccheri). Condire la pasta con il sugo avendo cura di sollevare prima  i pezzi di carne (tenere la carne da parte in un vassoio) per poter prelevare il sugo senza romperla troppo (deve servire per il secondo piatto). Impiattare e decorare con foglioline di basilico fresco. Rimettere la carne nella pentola con il restante sugo, scaldare leggermente, se necessita, e servire la carne in tavola accompagnata da una salsiera contenente  il sugo che ogni commensale preleverà secondo gusto. 
Buon appetito dalla fattoriadiassunta
Spargifiamme in ghisa 
  
 
Dedicato al mio dolce marito per il suo compleanno 
vedi anche
http://lafattoriadiassunta.blogspot.it/2012/05/ragu-sulla-fornacella-napoletana.html

RAGU' E PSICOANALISI
Ho trovato notizia che Sigmund Freud, all’inizio del 900’, durante un viaggio a Napoli, rimase profondamente colpito dal rituale della preparazione del ragù e dai suoi simbolismi. La pasta per eccellenza, condita dal ragù era il formato "zitoni", lunghi maccheroni che si spezzavano a mano (compito generalmente affidato ai bambini di casa, maschi o femmine) l'antico ragù serviva a condire dunque questo tipo di pasta il cui formato ricorda l'immagine fallica. 
 Sembra che Freud abbia approfondito il significato legato alla rappresentazione simbolica di questo rito culinario in un suo saggio: “Edipo in cucina”. Nel breve elaborato egli associa il mangiare maccheroni con il ragù all’unione incestuosa con la madre, ravvisando una sorta di castrazione maschile sempre ad opera della madre stessa. 
  Evidentemente il padre della psicoanalisi, avrà osservato, con deformazione professionale, e con atteggiamento non molto vacanziero, in qualche famiglia che l'ha ospitato, un ragazzino di casa spezzare gli ziti poco volentieri (ricordo con antipatia quando da piccola mi veniva richiesto questo aiuto) notando la frustrazione sul volto del fanciullo per il dolore alle mani causate dall'operazione della spezzatura, e poco distante la madre, che sarà apparsa agli occhi di Freud come una matriarca ai fornelli, atta a controllare con austerità la cottura del ragù, come richiesto dai più severi canoni di preparazione di questo piatto domenicale, e quindi familiare.

Altro:Ricerche e curiosità 

"Il rapporto che intercorre tra i napoletani e la pasta è di forte dipendenza. Una dipendenza che quasi esclude la possibilità che tale rapporto non esista e che serve invece ad esprimere l’ambiguità che sottende al carattere popolare partenopeo. La contrapposizione natura/cultura, elemento fondante dell’identità dei gruppi umani, si risolve, a Napoli, in un eterno oscillare: tra passato e presente; dal carattere ambiguo di Pulcinella, un po’ servo un po’ no, un po’ uomo un po’ donna, alla figura dei “femminielli” donne-uomini di arcaica tradizione. Tale eterna ambiguità è ulteriormente espressa, come scrive Marino Niola in “Totem e ragù” (Pironti Editore), dalla modalità di cottura del maccherone: al dente. A metà tra il crudo e il cotto o, se si preferisce, tra natura e cultura, il maccherone rappresenta quella possibilità tutta napoletana di essere altro, sempre, divenendo il simbolo di un’intera cultura popolare. L’al dente diviene anche, in una prospettiva antropologica, una caratteristica anarchica mal riconducibile ad un ordine di tipo binario natura/cultura – crudo/cotto e, ancora una volta, espressione di un’ambiguità pendente, tra maschile e femminile. “Sdoppiando verso il basso la categoria del cotto, è possibile al maccherone rimanere “tuosto” (caratteristica maschile per eccellenza) collocandosi così tra il crudo e il cotto, maschio e femmina, duro e molle, e configurandosi come il più crudo tra gli alimenti cotti e il più cotto tra gli alimenti crudi. La durezza relativa, conservata grazie a questa particolare cottura, consente così di non mettere in discussione l’equazione tra cultura e virilità su cui poggia l’ordine sociale e cosmico della comunità partenopea” (Niola – p. 185). Un’ambiguità ambigua, quindi, che da un lato partecipa nella “difesa” del carattere anche virile del popolo napoletano e, dall’altro contempla quella tendenza, altra, verso il femminile (il crudo – la natura): “(…) Freud, in una delle sue opere più tarde, Edipo in cucina, paragona l’indigestione da maccheroni col ragù all’unione incestuosa con la madre. Non va dimenticato che gli zitoni al ragù, conosciuti nel corso di un viaggio a Napoli, impressionarono profondamente il padre della psicanalisi, che vi scorse una particolare modalità della castrazione maschile ad opera della madre: una sorta di sanguinolento corollario dell’invidia del pene” (Niola – p. 186). La pasta, i maccheroni, ci rammenta Niola, sono strettamente legati alla figura della Mamma: figura dal carattere ambiguo, tra riproduzione e negazione della sessualità. Assai difficile risulta per noi districarci nel tentativo di configurare un’antropologia del maccherone. Ma il Maiale Ubriaco crede comunque di poter raccontare o, quantomeno, fornire degli spunti. Quel che è certo, per terminare il nostro discorso, è che la pasta diviene il simbolo della napoletanità. Il simbolo di un popolo che ha scelto di non vivere una sola identità, scegliendo il compromesso." 1

1)cfr. Stefano Tripodi, antropologia del maccherone,www.maialeubriaco.com;